Lucia Caterina
Porcellana cinese - Chinese porcelain
Fiorani Piacentini. They were already the subject of a
publication in 1974 (Caterina 1974: 32-42) and of a
rereading in 2003 (Caterina 2003: 181-91, figs. XXIX-
XXXII), to which I refer the reader for a more
complete treatment of the topic. In this contribution I
will try, instead, to give prominence to their main
characteristics and context, calling attention to just
some examples in connection with the blue and white
specimens which have recently been acquired in the
Museo Orientale collections.
The fragments, as already said, are mostly painted
porcelain in underglaze cobalt blue, with only five
exemplars of stoneware with green glaze of the
céladon
type, and one enamelled porcelain.
They date between the 15th and the early 17th
century, i.e. the period when Hormuz was an important
commercial emporium controlled by the Portuguese.
The most popular export production of the time was
the blue and white porcelain, while in the earlier
centuries there was a preference for monochrome
glaze, especially that in green glaze called
céladon
in
the West, the name deriving from the resemblance
between its colour and that of the ribbons in the dress
worn by the young shepherd Céladon, the protagonist
of the play based on the pastoral novel
L’Astrée
by
Honoré d’Urfé (1568-1626).
The fragments of the Museo Orientale come from
tableware composed for the most part by open shapes,
such as bases and walls of bowls and dishes of different
sizes. There are only two closed shapes, a bottleneck
(MO53) and a large piece of the body of a
kendi
vessel
(MO61).
The quality of the porcelain is variable, from a white
and thin material to coarser and thicker mixtures. Also
the decoration in underglaze cobalt blue comes in very
different shades of colour, from a light and bright blue
to a dark one, from a lavender tinge to a greyish one.
I settanta frammenti provengono da una raccolta di
superficie effettuata negli anni ’70 a Hormuz nel Golfo
Persico, donati poi all’allora Istituto Universitario
Orientale di Napoli da Valeria Fiorani Piacentini. Sono
già stati oggetto di una pubblicazione nel 1974 (Caterina
1974: 32-42) e di una rilettura nel 2003 (Caterina 2003:
181-91, figg. XXIX-XXXII), a cui rimando per una
trattazione più completa sull’argomento. Cercherò,
invece, in questa sede di metterne in luce le caratteristiche
essenziali e il loro contesto, segnalando solo qualche
esempio collegato con gli esemplari in bianco e blu
entrati a fare parte recentemente delle collezioni del
Museo Orientale.
I frammenti, come si è già detto, sono per la maggior
parte di porcellana dipinta in blu cobalto sotto coperta,
solo cinque sono in grès con invetriatura verde di tipo
céladon
e uno policromo.
La loro datazione oscilla tra il XV e gli inizi del XVII
secolo, all’epoca in cui Hormuz era un importante
emporio commerciale controllato dai portoghesi.
In quel periodo la produzione più richiesta dal
mercato d’esportazione era la porcellana di tipo bianco
e blu mentre nei secoli precedenti si preferiva il
vasellame monocromo, in particolare quello con
invetriatura verde chiamato dagli occidentali
céladon
il cui nome deriva dalla somiglianza del colore con i
nastri delle vesti del pastorello Céladon, protagonista
del lavoro teatrale tratto dal romanzo pastorale
L’Astrée
di Honoré d’Urfé (1568-1626).
I frammenti del Museo Orientale derivano da
vasellame da tavola costituito per lo più da forme
aperte, quali basi e pareti di coppe e piatti di misure
diverse. Solo due sono le forme chiuse, un collo di
bottiglia (MO53) e una parte rilevante del corpo di un
recipiente
kendi
(MO61).
La qualità della porcellana è variabile, da un
materiale bianco e sottile ad impasti più grossolani
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